domenica 15 febbraio 2009

PACCHETTO SICUREZZA: C'E' DENTRO IL BAVAGLIO PER IL WEB.

Nel disegno di legge 733, il cosiddetto "pacchetto sicurezza", c'è un punto importante che riguarda il futuro della rete in Italia. Sotto forma di un emendamento, inserito dal senatore Gianpiero D'Alia (UDC), s’introduce nel DDL l'articolo 50-bis, "Repressione di attività di apologia o istigazione a delinquere compiuta a mezzo internet".

Il primo comma dell'articolo voluto da D'Alia, nella sua versione originale, recitava: "Quando si procede per delitti di istigazione a delinquere o a disobbedire alle leggi, ovvero per delitti di apologia di reato, previsti dal codice penale o da altre disposizioni penali, e sussistono concreti elementi che consentano di ritenere che alcuno compia detta attività di apologia o di istigazione in via telematica sulla rete internet, il Ministro dell'interno, in seguito a comunicazione dell'autorità giudiziaria, può disporre con proprio decreto l'interruzione della attività indicata, ordinando ai fornitori di connettività alla rete internet di utilizzare gli appositi strumenti di filtraggio necessari a tal fine." Cerchiamo di capire che vuol dire tutto ciò.


Se le parole di un cittadino della rete dovessero finire sotto indagine per essersi pronunciato riguardo a certi delitti, se il cittadino della rete dovesse essere sospettato di aver incoraggiato a commettere un reato, l'autorità giudiziaria può comunicare al Ministro dell'Interno la necessità di intervenire.

E fin qui sembra chiaro. Ma c'è nascosto dentro un uovo di Pasqua, con tanto di sorpresa. E precisamente la sorpresa sta in quel passaggio: "il Ministro dell'interno (...) può disporre con proprio decreto l'interruzione".


Il problema sta nella terza persona singolare del verbo potere: egli può disporre. Come spiega l'avvocato Daniele Minotti, esperto di diritto della Rete, "ci sono i presupposti perché il ministro agisca in modo discrezionale.

La formulazione del testo non sembra obbligare il Ministro a disporre il decreto per mettere in moto i provider". In questo comma c'é poi un'altro elemento molto preoccupante. Il fatto che l'attuazione del decreto non spetta, come funziona per tutti i reati informatici, alla polizia postale, o al GAT della guardia di finanza, insomma ai corpi preposti, bensì ai fornitori di connettività.

In pratica è il provider internet che deve staccare dalla rete, di fatto procedere alla censura, del sito web indicato dal ministro, altrimenti va incontro a sanzioni pesanti. Multe elevatissime, in certi casi anche il carcere.

Sostanzialmente, il pericolo del bavaglio cala non solo sui grandi portali di informazione dal basso, come Youtube ma, con la scusa di impedire l'incitamento al reato, diviene a rischio chiusura anche ogni blog anche per un solo commento!


I provider internet, dal canto loro, si ritrovano con una brutta grana da pelare. Infatti avranno 24 ore per isolare dalla rete la pagina indicata dal decreto del ministro. A pendere sul capo del provider potrebbero esserci sanzioni che oscillano dai 50mila ai 250mila euro.

Il rischio più grande, sottolinea l'avvocato Minotti, è l'ombra dell'accusa di essere corresponsabili di "apologia o di istigazione in via telematica sulla rete internet". "Rischiano di essere accusati di concorso - spiega Minotti - si tratta di un meccanismo perverso: avere l'obbligo giuridico di impedire un evento e, sfuggire a quest'obbligo equivale a lasciare che altri continuino a compiere il reato; si finisce per dover rispondere di reato omissivo improprio. Pagando per la stessa imputazione".

Che in Italia è punita con il carcere, da uno a cinque anni.


Secondo i giuristi esperti della materia, i reati d'opinione rischiano di sovrapporsi con la manifestazione del pensiero dell'individuo: diritto tutelato dall'articolo 21 della Costituzione.
E i provider Internet sarebbero costretti a setacciare la libera espressione, con un ruolo da sceriffi. I tecnici della Rete invece fanno notare come non sia tecnicamente possibile filtrare Internet, ma la politica ha deciso di ignorare sia i giuristi sia i tecnici.

Così, se in futuro un blogger dovesse parlare di una legge e dire che la ritiene ingiusta, criticandola, i provider dovranno bloccarlo, se il Ministro dell'interno lo vuole.


D'altronde, ad aprire la strada ad un simile provvedimento era stata una dichiarazione forte di Berlusconi, quella di voler proporre una regolamentazione di Internet anche sul piano internazionale.

Così, anche se l'emendamento viene da un parlamentare UDC, il consenso da parte della maggioranza è stato immediato: i politici mettono mano a Internet per regolarla, e fanno danni perché lo fanno in fretta e furia senza chiedere pareri agli addetti ai lavori e trattando la Rete come se fosse un qualsiasi mezzo di comunicazione.


La vivace ma civile protesta che ha scosso la rete nei giorni successivi ha convinto D'Alia a cambiare il testo del primo comma, senza far notare troppo la cosa alla stampa.

Il nuovo testo recita: "Salvo che il fatto costituisca reato, il Ministro dell'interno, quando accerta che alcuno, in via telematica sulla rete internet, compie attività di apologia o d’incitamento di associazioni criminose in generale, di associazioni mafiose, di associazioni eversive e terroristiche, ovvero ancora attività di apologia o d’incitamento alla violenza in genere e alla violenza sessuale, alla discriminazione o all'odio etnico, nazionale, razziale o religioso, dispone con proprio decreto l'interruzione dell'attività indicata, ordinando ai fornitori di servizi di connettività alla rete internet di utilizzare gli appositi strumenti di filtraggio necessari a tal fine."


E' cambiato molto, rispetto alla prima proposta. Certo, fa riferimento ad apologie e incitamenti di specifici reati, contiene ancora passaggi opinabili e discutibili, ma nel frattempo è stato rimaneggiato.

Segno che ancora oggi farsi sentire, anche in Rete, serve a qualcosa. Restano validi gli altri commi, con tutte le conseguenze per i provider esaminate fino ad ora. C’è ancora molto su cui protestare.

altrenotizie.org


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