giovedì 26 febbraio 2009

«Casa Saddam», fiction sul dittatore

Casa Saddam:Marmi splendenti, fontane zampillanti, lampadari di cristallo, pavimenti di maiolica, vetrate colorate, bagni d'alabastro con rubinetti d'oro... Perfetti per lavare mani sporche di sangue. Saddam Hussein abitava qui.
Una reggia da mille e una notte avvolta da fama sinistra, luogo di congiure, tradimenti, assassini, stupri.
Ad aprirci quelle porte suntuose e terribili, svelando interni di famiglia in bilico tra Macbeth e i Sopranos, è ora Casa Saddam, miniserie prodotta dalla Bbc e Hbo, in onda il 17 e 18 marzo alle 21 su Sky Cinema 1.

E se da noi il titolo — con l'assonanza a Casa Vianello e alla parodia di Luca e Paolo-Bin Laden e Saddam — potrebbe indurre sospetti satirici, in realtà il film tv scritto da Alex Holmes e diretto da Stephen Butchcard, muove in tutt'altra direzione. Quattro puntate da un'ora ciascuna per ricapitolare a ritmo serrato l'ascesa e caduta di un dittatore, dalla presa del potere nel 1979 alla morte, per impiccagione, il 30 dicembre 2006.

Nei panni del raís, Igal Naor, attore israeliano (già visto in Munich di Spielberg) capace di una mimesi impressionante non solo dal punto di vista fisico ma anche gestuale e psicologico. «Saddam è stato uno dei personaggi più complessi e carismatici della storia recente — assicura Naor —. Per me era un nemico, ma non l'odiavo. Fin da subito ho capito che avrei dovuto andare a cercare la sua anima, quello che sentiva e pensava».

L'unica donna che sembra non aver mai paura di lui è la madre. Dura e despota tratta con Saddam «alla pari». Abbandonata dal marito con Saddam in fasce, si era risposata con un uomo che quel figlio non suo non aveva mai amato.

Forse memore delle violenze subite da bambino, Saddam non alza mai la mano sui suoi figli, Qusay e lo psicopatico Uday. Ma di fronte all'ennesima ribalderia di quest'ultimo, gli grida: «Credi che la violenza sia un passatempo? E' uno strumento. Noi non siamo barbari». La consapevolezza di appartenere a una terra «antica» per civiltà e cultura è ben impressa nel dna del dittatore. «Questo è un Paese per cui vale la pena di morire» dice. Difatti. Le ultime immagini, la cattura e l'impiccagione, scorrono veloci. Quasi temendo — la produzione è anglo- americana — di farne involontariamente un eroe.

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